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Un ricordo di Alfio Cavoli*
di Vincenzo Padiglione
(Professore ordinario di Discipline
demoetnoantropologiche presso il Dipartimento di
Psicologia dei Processi di Sviluppo e
Socializzazione dell'Università di Roma "La
Sapienza") |
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noi qui riuniti abbiamo immaginato un evento che lo avrebbe
visto felice tra amici, parenti, colleghi e lettori. Un
incontro laico per chi come noi pensa che il modo migliore
di commemorare i nostri cari sia di pronunciare il loro nome
e le loro opere, di ricordare gesti, valori e sensibilità
che condividemmo. Abbiamo or ora ascoltato i suggestivi
brani tratti dai alcuni suoi libri e letti da giovani di
Cellere. Siamo così entrati nei meandri della sua prosa
chiara, nella densità delle sue storie.
Permettetemi di svelare un piccolo segreto. Quando abbiamo
iniziato a lavorare alla realizzazione del museo c'erano
tanti giovani come Marco D'Aureli che svolgevano ricerche in
varie direzioni sul tema del brigantaggio e le storie
estreme dei protagonisti. C'era chi doveva lavorare sulla
stampa delle fine del secolo XIX, chi doveva indagare sulla
vita quotidiana, chi sulle donne dei briganti, chi doveva
raccontare del mondo fantastico, ecc. Facciamo il primo
incontro con questi giovani ricercatori e ci troviamo di
fronte a un problema, che da l'idea di chi era Alfio Cavoli.
Tutti avevano letto i suoi libri e avevano in qualche modo
iniziato a fare ricerca utilizzando in modo, direi in buona
parte "mimetico", testi che egli aveva scritto. Come dire
che informarsi sul brigantaggio significava fatalmente non
solo imbattersi nelle storie di Cavoli ma anche ritenerle
così suggestive e ben scritte da esserne anche catturati.
Credo che questo episodio possa ben dare l'idea del nostro
amato scrittore. Chiaramente noi abbiamo chiesto ai
ricercatori di andare anche oltre, esplorando ulteriori
fonti di documentazione. Se consideriamo la storia un flusso
di eventi ed esperienze che viene selettivamente
interpretato possiamo meglio dar valore al contributo di chi
ha inteso individuare e definire fenomeni che altrimenti la
cronaca o la memoria avrebbe potuto rendere irrilevanti.
Credo che non si possa avere dubbi nel ritenere che vi siano
due Autori che hanno messo in forma o avviato la riscoperta
del brigantaggio di questa area. Uno è Adolfo Rossi, il
giornalista che nel 1893 scrisse il reportage Nel Regno
di Tìburzi, raccontato nel percorso narrativo al
centro del Museo. Lui fu un giornalista che, a ridosso del
famoso processo di Viterbo, cercò di incontrare il latitante
Tìburzi, di capirne le ragioni. Scrisse articoli che
raccolse in un libro di grande successo, dalle innumerevoli
ristampe ed edizioni. Adolfo Rossi è sicuramente un autore,
diciamo, della scoperta di Tìburzi e del brigantaggio nella
zona. Passati però vari decenni ci sarà un altro
giornalista, Alfio Cavoli, che, anche lui in una situazione
di dimenticanza e di irrilevanza, riprenderà il tema del
brigantaggio per farne una chiave di lettura del territorio
e della sua storia travagliata. Vi riuscì è mia ipotesi
perché anche lui era un uomo di confine, ad un tempo uno
ricercatore e un divulgatore. Un serissimo studioso che non
sempre amava citare le fonti, ma che non le inventasse lo si
comprende dagli apparati e dalle note che non è raro trovare
nei suoi volumi. Ci si accorge così che il puntiglioso
conviveva con il fantasioso, che lo storico con il
giornalista uso a star dietro alla notizia. La sua pagina
rivela grande equilibrio e soprattutto ha l'andamento di una
scrittura visiva e concreta che riesce in questo senso ad
essere appetibile non soltanto dal professionista della
lettura, lo storico, l'antropologo ma anche da un giovane
che la vive come un bel racconto. Come scrittore Alfio
dimostra di padroneggiare sintesi e ritmo. Ne sono
sicuramente matrici sia il giornalismo sia la scuola (ha a
lungo insegnato), che hanno favorito quella capacità di
raccontare coinvolgendo l'esperienza diretta del lettore.
Era un uomo di confine anche perché di fatto si era trovato
a vivere a Manciano, che era stata e forse è ancora zona di
frontiera e di incontro tra più culture, punto di
osservazione dal quale poter pensare, poter parlare delle
due Maremme, diciamo, oggi divise ma in qualche modo
indivise dal punto di vista paesaggistico per molto tempo.
credo che si possa cogliere nel complesso delle sue opere
proprio un ricucire una sua doppia identità, una sua doppia
presenza, un dar valore ai vantaggi per la conoscenza di
collocarsi nella condizione di confine e nel mostrare
simpatia per tutti coloro che la hanno vissuta. Vorrei
aggiungere un altro aspetto, il trattamento che lui fa di
Tìburzi non è mai la costruzione epica di un eroe, non è mai
un trattamento da politico perché se ne faccia un eroe buono
per ogni stagione. La sua volontà di rivisitare l'esperienza
di Tìburzi cogliendone proprio la capacità del brigante di
mettersi dalla parte dei deboli non gli ha mai impedito di
dare evidenza alle malefatte. Non nascose in questo senso i
delitti né la ferocia. Cercò semmai di comprenderli
ricorrendo con sensibilità antropologica a logiche culturali
locali e del tempo. Ovvero inserendo una storia estrema
all'interno dei contesti (es. le bande) che la rendevano
congruente.
All'interno del Museo abbiamo dato una enfasi alle tante
ipotesi relative alla morte di Tìburzi e abbiamo realizzato
una video installazione dove "Tìburzi rivive" Lo abbiamo
fatto perché implicitamente suggerito da Cavoli con il suo
"accanimento", potremmo dire, sulla morte di Tìburzi. Sui
tanti interrogativi che emergevano. Nel criticare
testimonianze e resoconti, Cavoli non risparmiò di menare
fendenti a nessuno, politici, forze dell'ordine. Si mosse
con l'agilità e il ritmo di uno scrittore da noir
contemporaneo nel cercare la verità. Ma in questo suo
accanimento egli si rese portavoce e interprete della
sensibilità locale che da Tìburzi, e specialmente dalla sua
morte, era stata particolarmente colpita, commossa. Nel dar
rilevanza al mistero e al dramma si viene a comporre una
storia alternativa a quella ufficiale e il potere dei
deboli, che attraverso l'immaginazione resiste alle menzogne
delle storie egemoniche, esprime dubbi e risentimenti.
Lo ho conosciuto Alfio e chiaramente abbiamo parlato a lungo
di brigantaggio, poi però a modo mio da curioso mi sono
messo a leggere altri testi da lui scritti. Ricordo pagine
sulla pittura, sulla vita sociale ed economica. In questo
senso credo sia giusto che lo si valuti non soltanto legato
al tema del brigantaggio ma lo si veda come un autore
importante della rinascita nei confronti delle fonti locali
molteplici, scritte e orali. Una sua capacità da segnalare
era la voglia di ascoltare: aveva un suo sorriso, un po'
disincantato nei confronti di questa pletora di persone che
venivano a parlargli di brigantaggio, e forse non ne poteva
più, però aveva pazienza e mostrava curiosità. Donava sempre
una attenzione che si esprimeva con il sorriso appena
abbozzato che io in questo momento ricordo bene e mi
piacerebbe assai che il visitatore, magari guardando le clip
che contengono le sue testimonianze, possa qui rivivere.
*Il testo riproduce il discorso pronunciato dall'Autore
in occasione della giornata dedicata alla memoria di Alfio
Cavoli tenutasi presso il Museo del Brigantaggio di
Cellere il 2 maggio 2009
Da «Tiburzi è vivo e lotta insieme a noi», catalogo del
Museo del Brigantaggio di Cellere, di Vincenzo
Padiglione e Fulvia Caruso, a cura di Marco
D'Aureli, Edizioni Effigi (Arcidosso, GR), 2011 |
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