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I libri
Etruschi in Maremma


Viaggio storico-archeologico
attraverso i luoghi della civiltà rasenia


Aldo Sara Editore,
Collana "Le Antiche Dogane" n° 4
Roma (2003)

pag. 43


GLI ETRUSCHI RE DI ROMA FRA INTRIGHI, DELITTI E TIRANNIE"

erso la metà del VII secolo a.C. si stabilì definitivamente a Tarquinia un ricco commerciante di Corinto: Demarato. Il personaggio non era nuovo di questi luoghi e di altri dell'Etruria, poiché, da tempo, vi tornava spesso per esercitarvi con grande successo la sua professione. Nobile, appartenente alia prosapia dei Bacchiadi che fondò le colonie di Siracusa e di Corcira (Corfù) gettando le basi della floridezza commerciale di Corinto, dopo il 657 a.C., in seguito alia conquista del potere da parte dei Cipselidi, capeggiati dal tiranno Cipsèlo, fu costretto a fuggire dai lidi nativi. Conoscendo bene l'Etruria in genere e Tarquinia in particolare, dove aveva contratto molte amicizie - qualcuna anche piuttosto importante - qui venne a vivere, adottando la lucumonia tirrenica come seconda patria.(1)
Ma questa volta non arrivò solo. Insieme con lui - data la temperie politica che imperversava a Corinto - scelse l'esilio di Tarquinia anche uno stuolo di artisti, fra i quali Ekphantos, Eucherio ("mano abile") ed Eugrammo ("abile nel disegno") - due famosi decoratori di vasi -, il pittore Cleofante e Diopo (ossia colui che si serve della dioptra: strumento per misurare e tracciare angoli). In quel periodo, la città fondata da Tarconte era forse il luogo piu frequentato da coloro che presiedevano ai traffici mercantili fra la Grecia e l'Etruria. Lo testimoniano anche gli scali marittimi di cui disponeva. Oltre a quello di Gravisca, erano attivi i porti di Rapioni (Rapinum), alla foce del fiume Mignone, un po' a sud delle Saline; di Martanum, alla foce del fiume Marta; di Quintiana, alla foce del fiume Arunte (Arrone); di Regas, fra l'Arrone e la Fiora. Con tutta probabilità - c'e chi lo afferma con certezza - il corinzio Demarato, forte della sua esperienza commerciale, della sua competenza nel riconoscere il valore artistico degli oggetti da vendere e da comprare, nonché della ricchezza accumulata in tanti anni di proficuo lavoro, realizzò a Tarquinia una grande fabbrica di oggetti ceramici. Si avventurò con fiducia in questa non facile impresa, grazie proprio alia presenza sul posto degli apprezzati artisti immigrati dalla Grecia. Fatto sta che in quel periodo, come dimostrano le testimonianze portate alia luce e la magnificenza di molte tombe dipinte della necropoli di Monterozzi, la città ebbe un impulso industriale ed economico piuttosto considerevole, facendo registrare un sostanziale mutamento qualitativo della produzione fittile e consentendo alla ceramica artistica prodotta in loco di superare - per originalità e bellezza - quella importata dalle localtà greche piu rinomate in questo settore.
Come tutti i comuni mortali, Demarato non era soltanto un campione di efficientismo, di zelo lavorativo: uno stacanovista, insomma, dell'industria e del commercio; ma faceva anche la corte alle belle ragazze di Tarquinia. E ce n'erano davvero di avvenenti sulla piazza, a giudicare da quelle dipinte sulle pareti sepolcrali degli ipogei, come la fanciulla Velcha della Tomba dell'Orco, anche se la sua immagine appartiene a un periodo molto piu tardo.
Il danaroso imprenditore, pertanto, s'invaghì di una delle piu attraenti donne della città - una nobile - e non tardò a diventarne il marito. Il giorno in cui si sposarono, lei indossava un chitone fermato sulle spalle da due grandi fibule d'oro finemente lavorate e tempestato d'auree lamine raffiguranti rosette, palmette, motivi geometrici vari; esibiva gioielli di squisita fattura che le ornavano i capelli e il busto; calzava un paio di sandali, come il consorte, con la suola di legno e le stringhe di cuoio, rinforzati con elementi di bronzo. Lui vestiva una tunica decorata a scacchi e a losanghe, sulla quale esibiva un mantello di tipo greco, alquanto ampio (himatiori). Si amarono intensamente ed ebbero ben presto due figli. Uno - Lucumo (Lucumone) - sopravvisse al padre e sposò anch'egli una ragazza di Tarquinia: Tanaquilla (thanachvil). A costei, la città natale - benché fiorente, ricca e prestigiosa - non sembrò la migliore per continuare a viverci. E la prima iniziativa che prese, dopo essere convolata a nozze, fu quella di spingere il marito a lasciarla per trasferirsi a Roma, indotta a compiere questo passo anche dal desiderio di poter consentire al coniuge l'accesso alle piu alte cariche politiche e sociali: ambizione che a Tarquinia gli veniva ostacolata a causa delle origini greche del genitore.
Mentre si recavano nella capitale latina - trasportati da una sorta di carretta, che Tito Livio chiama carpentum, carica di masserizie e d'ogni altra cosa ritenuta indispensabile - un'aquila volteggiò su di loro, poi scese fino all'altezza del capo di Lucumone e tolse all'uomo il pileo. Tanaquilla interpreto l'episodio come un presagio favorevole. E da quel giorno non fece altro che incoraggiare Lucumone a scalare i gradini del potere. Cambiato il suo nome etrusco in quello latino di Lucio Tarquinio Prisco, il figlio di Demarato riuscì a conquistare in un breve volger di tempo la benevolenza di molti personaggi influenti, entrando addirittura nelle grazie del re Anco Marzio, al quale - grazie anche all'energico appoggio della moglie Tanaquilla - nel 616 a.C. succedette sul trono di Roma in maniera del tutto pacifica.(2) Cio poté verificarsi, secondo qualche storico, perché il quarto regnante latino (gli altri, come tutti sanno, erano stati Romolo, dal 753 al 716 a.C; Numa Pompilio, dal I 672 a.C; Tullo Ostilio, dal 672 al 640 a.C.) si era talmente affezionato a Tarquinio Prisco da affidargli, in punto di morte la tutela dei figli minorenni.
Diventato il quinto re di Roma, il ricco e scaltro tarquiniese combatté alcune fortunate battaglie che gli permisero di soggiogare diverse città latine e sabine. Ma il suo maggiore merito è legato alle opere di abbellimento della Città Eterna, come il Circo Massimo e il Tempio di Giove sul Campidoglio. Fece costruire anche un grande canale collettore (la Cloaca massima) per il prosciugamento delle paludi che si estendevano nella parte piu bassa di Roma. Alcune fonti gli attribuiscono una significativa "etruschizzazione" degli usi e dei costumi romani, avendo egli introdotto nella tradizione popolare e cerimoniale una serie di giochi, le insegne del potere coercitivo dei magistrati (i fasci), le insegne regali e il trionfo, ossia la manifestazione durante la quale il condottiero che aveva riportato una vittoria sul nemico veniva cinto di alloro, fatto salire sopra un carro trionfale e accompagnato in corteo, dall'intero senato e dalla popolazione, fino al Tempio di Giove Capitolino, dove si celebrava un solenne rito sacrificale.
La sua fine, nel 578 a.C., fu quella che - da persona intelligente qual era - si sarebbe dovuto aspettare. I figli di Anco Marzio, raggiunta l'età della ragione, non tollerarono che si fosse insediato sul trono di Roma al posto del padre. Lo considerarono, insomma, un usurpatore e decisero di ucciderlo. Per uno stratagemma di Tanaquilla, gli subentrò il genero, Servio Tullio, anche lui etrusco di Vulci, che in patria veniva chiamato Mastarna Macstrna), equivalente al latino magister, "comandante", il quale si sarebbe trasferito a Roma all'indomani della morte di Celio Vibenna, condottiero, suo fedele compagno, rappresentato nella Tomba François di Vulci - di cui parleremo - con il nome di Caile Vipina. Servio Tullio ampliò la supremazia di Roma con varie guerre, cinse di mura la citta, facendo in modo che i sette colli rimanessero all'intemo delle medesime, distinguendosi, tuttavia, per il nuovo ordinamento conferito all'assemblea popolare. Prima di lui, soltanto i discendenti dei fondatori di Roma potevano partecipare ai comizi curiati, alle gerarchie militari, ed essere ammessi al godimento dei diritti politici. Successivamente, anche perché la situazione demografica aveva fatto registrare un notevole aumento a causa delle popolazioni vinte trasferite in città e nel territorio, gli abitanti furono divisi in cinque classi, tenendo conto delle sostanze di cui disponevano e non della loro origine. Le classi, a loro volta, vennero suddivise in centurie, facendo in modo che il numero maggiore di esse fosse appannaggio dei più ricchi. Coloro che non possedevano nulla furono raggruppati in una classe unica (la sesta) che comprendeva una sola centuria. Le votazioni avvenivano per centurie nei comizi, che dopo questa riforma si chiamarono - appunto - centuriati. In tal modo, l'importanza politica di ogni cittadino era proporzionata ai suoi averi, così come lo era, però, anche l'entità degli oneri militari.
Servio Tullio morì nel 534 a.C.. Stando alia tradizione, sarebbe stato ucciso da un figlio di Tarquinio Prisco - Lucio Tarquinio - al quale il re aveva dato in moglie una figlia. Il delitto sarebbe stato favorito dalla nobiltà romana, che rimproverava a Servio Tullio di aver fatto al popolo concessioni esagerate. In cambio della malvagia azione, Lucio Tarquinio ebbe il potere regale, che esercitò con vergognosi sistemi tirannici, tentando anche di renderlo ereditario per i membri della sua famiglia. Per questi motivi si guadagnò l'epiteto di Superbo. Ciò nonostante, nel corso del suo regno, il dominio di Roma si estese, a sud, fino al promontorio del Circeo e la città si arricchì di nuovi monumenti, di splendidi palazzi. Tuttavia, quando la pazienza dei Romani raggiunse punte insopportabili di esasperazione, a causa del malcontento che i suoi dispotici modi di governare avevano diffusamente suscitato, due suoi parenti - Giunio Bruto e Tarquinio Collatino - ordirono una congiura, dopo che la moglie del secondo, Lucrezia, gravemente offesa dal figlio del re, si era uccisa. Anche il popolo insorse e Tarquinio il Superbo fu costretto a fuggire. Era l'anno 510 prima dell'avvento di Cristo.



N.B. - (1), (2). Sono state segnalate, ma omesse  le due lunghe note esplicative relative al capitolo, invece, leggibili sulle pagine del libro.