L'immaginario collettivo in settanta testimonianze
religiose e profane
Scipioni Editore,
Roma (1993)
Disegno di copertina e disegni nel libro di Dino
Petri
pag. 39
PADRE GIOVANNI DA SAN GUGLIELMO E I BUFALI DI MONTE
LEONI
erso la fine del XVI secolo, l'agostiniano scalzo
Giovanni scende in Maremma dalle Marche natali per
dimorare prima nel romitorio del "Volto Santo" presso
Scarlino, poi in quello di San Guglielmo fra Tirli e
Castiglione della Pescaia, del quale assumerà la
denominazione.
Religioso di limpidissima fede e di superlativa bontà, non
tarda a far breccia nei cuori della povera gente, che
finisce col venerarlo come un santo.
Dovunque vada, è accolto con manifestazioni di affetto
così calorose che talvolta rischiano di degenerare in
disordini di piazza. Come il giorno in cui il Granduca in
persona, conoscendo il fervore degli abitanti del luogo,
lo fa accompagnare a Batignano da un drappello di soldati.
Ed è proprio a Batignano che, secondo la leggenda, egli
avrebbe dato prova di possedere poteri soprannaturali.
In quegli anni, gran parte dei territori che circondano il
paese appartiene ad una sola famiglia, i Franci, che, a
differenza dei loro concittadini, nutrono una grande
avversione per la Chiesa e per i i suoi ministri.
Nei loro vastissimi possedimenti sono talmente numerosi
gli animali bradi da sorvegliare che non meno di cento
butteri, ogni mattina, partono in sella ai loro cavalli
per scorrazzare in lungo e largo fino al tramonto al
servizio delle mandrie.
Vacche, tori, bufali gremiscono infatti le macchie e i
pascoli della tenuta, essendo il loro allevamento allo
stato libero l'attività preferita dai padroni, così come
avviene in tutti i latifondi del Grossetano e dei
limitrofi territori costieri. Padre Giovanni di San
Guglielmo, che a Batignano si è trasferito con il
proposito di fondare un monastero in località Santa Lucia,
prega il vecchio Franci di prestargli, per la bisogna, un
paio di bufali domi.
Mangiapreti qual è, il possidente non si fa scrupolo di
negarglieli in maniera recisa. Ma, nello stesso tempo,
gliene offre beffardardente un paio di quelli selvatici,
ammesso che sia capace di prenderli e di potersene
giovare.
Il frate non si tira indietro. E si avventura subito nei
boschi di Monte Leoni dove gl'indocili animali sono
confinati.
Ne avvicina due, si toglie il cordone dal saio e, legate
le corna dell'uno a quelle dell'altro, li conduce senza
difficoltà nel luogo in cui ha stabilito di costruire il
convento.
Grazie al loro aiuto, dopo qualche mese l'edificio è
pronto per ospitare, sotto il titolo di Santa Lucia, una
nuova comunità religiosa. I bufali non servono più; e
padre Giovanni si premura di riportarli al loro padrone.
Questi è convinto che gli vengano restituiti due capi di
bestiame ormai perfettamente addomesticati; ma non appena
il frate si allontana, essi fuggono mugliando e sbuffando
inferociti verso le macchie di Monte Leoni.
L'avaro Franci – noto, fra l'altro, per retribuire i suoi
dipendenti con mercedi da fame – ha così la lezione che
merita.
Un giorno, forse per farsi perdonare il rifiuto dei bufali
domi, il possidente invita il monaco a pranzo nella sua
fattoria.
Giovanni da San Guglielmo va, si siede alla tavola
imbandita; però, fra lo stupore dei commensali, si rifiuta
di desinare, affermando di non poter toccare cibi rubati
ai poveri.
Nel dir questo, prende una pagnotta di pane, la taglia a
metà e, mostrandone le due porzioni grondanti di sangue,
esclama, con tono di severo rimprovero, mentre si appresta
ad uscire: "Casa Franci, casa Franci, sempre indietro, mai
avanti!".
Le parole del frate suonano profetiche, perché, da quel
momento, la decadenza della ricca famiglia maremmana sarà
inarrestabile, fino a diventare definitiva, a causa delle
distruzioni portate a compimento dalle truppe tedesche, al
termine dell'ultimo conflitto mondiale.
Quanto a padre Giovanni da San Guglielmo, egli morirà nel
convento di Santa Lucia nel 1621; e fra quelle mura, da
lui stesso costruite, verrà sepolto rispettando le sue
disposizioni testamentarie.
Cinque anni più tardi, le sue spoglie saranno traslate nel
nuovo convento di Santa Croce; e da qui, in seguito alla
soppressione del cenobio avvenuta nel periodo napoleonico,
trasferite nella chiesa parrocchiale di Batignano, dove
oggi sono custodite per essere esposte, ogni cinque
lustri, alla venerazione della cittadinanza.
Non è fuori luogo aggiungere – leggenda nella leggenda –
che esse sarebbero state recuperate fra i ruderi del
monastero, nel punto in cui un pastorello, per più mattine
consecutive, avrebbe visto fiorire un giglio.
I batignanesi si sarebbero recati a scavare in quel luogo
ed avrebbero trovato i resti del frate grazie
all'indicazione di una voce scaturita dal fondo delle
fossa: "Non andate oltre; padre Giovanni è qui".
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