Storia della "Pimpaccoia di Piazza Navona". La donna
avida di potere e di ricchezza che per un decennio resse
le sorti della chiesa.
Scipioni Editore,
Le donne dei papi 1,
Roma (1992)
In copertina: «Donna Olimpia» dal busto marmoreo di
Alessandro Algardi, Roma, Galleria Doria Pamphili
pag. 125
ANCHE LE PROSTITUTE ARRICCHISCONO OLIMPIA
Le prostitute "compariscono in carrozza
nelle solennità maggiori, perché la signora Donna
Olimpia, dopo essere stata regalata dalle medesime, si è
contentata di prenderle sotto la sua protezione, le ha
permesso che prendano l'arme di Sua Eccellenza sopra la
sua porta et le ha conceduto che vadino in
carrozza senza riguardo alcuno, come se fossero
honorate".
Avviso del 30 agosto 1645
ra logico che la Maidalchini traesse dal
vergognoso, fraudolento commercio di concessioni papali
(lo dicono anche il Ciampi e il Brigante Colonna) cospicui
frutti. E che il suo desiderio di accumulare sempre
maggiori ricchezze aumentasse col crescere delle
disponibilità finanziarie e dei beni al sole, ormai
moltissimi e di smisurato valore, se si pensa alle
proprietà di Viterbo e di San Martino al Cimino, ai
numerosi casali (di Selce, di Castel Malnome, di Santa
Cecilia), alle vigne di Roma, al palazzo di Porta San
Pancrazio quello presso la Fontana di Trevi comperato dai
Comari, al podere della Pisana, alla sconfinata tenuta di
Maccarese acquistata nel dicembre del 1648, "la migliore e
più grande che sia nella Campagna di Roma", come scrive
l'Ameyden; per tacere di numerosi altri edifìci e fondi
rustici.
Qualcuno ha calcolato che soltanto in contanti Olimpia si
appropriò di oltre un milione di scudi, somma astronomica
per quei tempi.
E pensare che, in aggiunta al suo assegno mensile di 250
scudi, ella pretendeva il pagamento perfino dei piccoli
servizi domestici, come l'"imbiancatura dei panni", per la
quale percepiva mensilmente diciotto scudi.
È ovvio che non tutti i denari le provenivano dagli
scandalosi imbrogli della dataria.
Altre fonti, generalmente non meno detestabili,
concorrevano a impinguare le casse personali della
principessa di San Martino. Fra queste – incredibile – lo
sfruttamento della prostituzione, attività floridissima a
Roma, dove circa un decimo della popolazione era
costituita da meretrici, ruffiani e lenoni.
Per una "religiosa" del suo stampo, che aveva permesso lo
smembramento dello scheletro di Santa Francesca Romana
portandosene un "pezzo" dalle sua parti native,
accaparrarsi il gettito fiscale delle case di tolleranza
era un fatto così banale da non meritare il minimo
scrupolo di coscienza.
E figuratevi se Olimpia ebbe mai il solo presentimento che
una fonte di reddito di quel genere potesse rappresentare,
per una signora del suo rango, un fatto contrario al
decoro e al senso morale.
A lei interessava il denaro, qualunque ne fosse la
provenienza; e, pur di ottenerlo, avrebbe venduto l'anima
al diavolo.
Ecco perché, quando le fu prospettata la possibilità
d'incamerare le tasse che le prostitute pagavano
all'erario per l'esercizio del mestiere, ne fu entusiasta,
ben sapendo di garantirsi una rendita non soltanto
considerevole, ma destinata a rimanere stabile, se non a
diventare sempre più rilevante.
Negli anni della carestia, che si verificò in concomitanza
con la rivoluzione napoletana per durare a lungo, acuita
in Roma anche a causa dell'invio di granaglie al governo
spagnolo, la prostituzione si mostrò come l'unica attività
in grado di restare fiorente e sicura. Tanto che, mentre
la popolazione languiva nei tuguri, ridotta allo stremo
dalla fame e dalle malattie endemiche, le meretrici e il
loro vasto entourage se la spassavano allegramente
percorrendo per lungo e per largo la città con le loro
carrozze e ostentando una ricchezza da far invidia al più
alto clero e al patriziato. Cosa che non poteva non
indispettire la povera gente la quale, al grido di "Non
più puttane, ma pane, pane!", minacciava di ribellarsi
alla situazione di grave indigenza in cui il malgoverno
papalino l'aveva condannata.
Fu così che, per sedare il pericoloso malcontento dei
sudditi e per impedire che Donna Olimpia perdesse una
parte consistente delle sue entrate, il papa-re emanò
precise disposizioni secondo le quali l'esercizio della
prostituzione, con il conseguente abbandonarsi alla pompa,
al lusso, alla crapula, poteva essere praticato solamente
all'interno delle abitazioni.
Ciò comportò per le meretrici la necessità di esporre
sugl'ingressi delle proprie case lo stemma della
Maidalchini, "finché i gendarmi potessero controllare la
regolarità della loro posizione rispetto al pagamento
delle tasse e verificare che si trovavano sotto la
protezione di Donna Olimpia. Per una serie di fattori
sfavorevoli (guerre, scarsità di raccolti, cattiva
amministrazione) l'anno di gran lunga più difficile di
tutto il pontificato innocenziano fu il 1648.
La qualità più scadente del pane e il suo maggior costo
infersero l'ultimo colpo alla sopportazione dei proletari
che – ormai consapevoli delle ruberie perpetrate dalla
Maidalchini, dei lavori da lei eseguiti per erigere
l'importante palazzo attiguo alla secolare abbazia di San
Martino al Cimino, delle radicali trasformazioni portate a
compimento nel palazzo di piazza Navona sotto la guida di
Girolamo Rainaldi, del progetto della chiesa gentilizia di
Sant'Agnese commissionato per la parte artistica (fra gli
altri) a Pietro da Cortona e ad Alessandro Algardi, nonché
di quello della grande fontana e dell'obelisco affidato
proprio nel 1648 a Gian Lorenzo Bernini – identificarono
in Donna Olimpia la causa di tutti i loro mali e
cominciarono a manifestare di fronte alla sua abitazione
con urla, maledizioni e minacce di passare a vie di fatto.
Le si dovettero mettere a disposizione guardie del corpo
che la seguissero in ogni dove; e armigeri che ebbero la
consegna di stazionare davanti alle porte del palazzo
Pamphili al fine di evitare che qualche facinoroso,
presentandosi magari sotto mentito nome, irrompesse a
compiere gesti pericolosi per l'incolumità della padrona.
Che, per uscir di casa (almeno così c'informano i
divulgatori delle sue vicende) doveva frenare la propria
avarizia e gettare sul selciato della piazza una manciata
di spiccioli, sui quali i pezzenti (così li chiamava) si
precipitavano, spesso azzuffandosi nell’intento di farli
propri.
Fu quello anche il periodo in cui le pasquinate si fecero
più fitte e più feroci. E tutte contro di lei, che veniva
accusata di aver fatto precipitare la situazione sociale
fino a portare il popolo alla disperazione.
Ebbe davvero paura di non uscire indenne da quella
tempesta, la signora Maidalchini. Ma fu soprattutto presa
dal timore che il papa, notoriamente portato a
infastidirsi di fronte alle maldicenze, potesse soffrire,
per colpa sua, di quel turbine di malcontento popolare.
Come in effetti avvenne, proprio nel momento peggiore,
quando con la pace di Vestfalia, stipulata a Mü>nster
il 24 ottobre 1648 al termine della guerra dei Trent'anni,
l'Impero fu indebolito a causa della cessione di tre
vescovati alla Francia, del suo smembramento in centinaia
di staterelli autonomi, del controllo a cui fu sottoposto
l'imperatore da parte della Dieta. Il trattato che le
permise di allargare le proprie frontiere fino al Reno e
di poter esercitare la propria tutela su molti Stati del
Sacro Romano Impero, fu un vero trionfo per la Francia,
anche perché pose fine alla Controriforma con la
concessione ai calvinisti (ai luterani era già stata
accordata con la pace di Augusta nel 1555) della libertà
di culto.
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