Libreria Editrice Tellini
Pistoia (1982)
pag. 5
UNA CITTÀ SENZA NOME
crittori
e poeti d'ogni tempo hanno sottolineato, d'Orvieto, la
spettacolare veduta rupestre: «Posta sopra un alto e
strabocchevole monte» (Leandro Alberti), «alta sul vertice
della rupe» (autore ignoto), «nave sulla terra e bella
città di sogno» (Angelo della Massea), «Nata sul tufo,
alta sul dirupo, quasi protesa verso il cielo»
(Bonaventura Tecchi), «costruita su un alto piedistallo di
tufo con i fianchi tagliati a picco» (Guido Piovene).
In effetti, questo sorprendente aspetto della superba
città umbra suscita il più vivo stupore, specialmente in
chi, per la prima volta, ha occasione di osservarlo
dall'alto del colle che si estende fra Sugano e Porano, ed
in modo particolare dal punto in cui la strada proveniente
dalla Maremma e dal Lago di Bolsena comincia a
discendere verso la vallata del Paglia aggomitolandosi in
fitti tornanti.
Talvolta, quando le nebbie del mattino circondano
lattiginose e stagnanti l'isola di tufo, soltanto le
guglie del Duomo, le torri, i campanili e i tetti più alti
delle case, emergono da quell'effimera distesa. Cosicché,
Orvieto sembra davvero una nave alla fonda, pronta a
riprendere il mare per un viaggio ignoto che dura ormai da
millenni.
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