info@alfiocavoli.it
I libri
Paride Pascucci


Testimonianze inedite per una biografia dell'artista maremmano


Giardini Editori e Stampatori in Pisa,
Collezione di cultura, n.26
Pisa (1978)


pag. 43

 I MODELLI

personaggi che Pascucci ha dipinto sono tutti reali, veri autentici. Nessuno sfugge a questa regola dalla quale l'artista non ha mai voluto prescindere, sia che componesse quadri-denuncia pervasi di profonda tensione drammatica, come «Eroi di Maremma», sia che traducesse sulle tele tranquille scene di vita campagnola, come «La sfogliatura del granturco». Ed è per questo che le opere del Pascucci — al di là del loro valore artistico e del loro messaggio sociale — costituiscono la fedele rappresentazione, nel volto e nell'anima, di quella povera umanità mancianese e maremmana (ma anche, per analogia, siciliana, calabrese, lucana, per non dire, senza far distinzioni, italiana) che conobbe uno dei periodi più tristi della nostra storia.
Gente realmente vissuta — tutta di estrazione proletaria: braccianti, campagnoli, contadini — è dunque riconoscibile nei lavori di Paride Pascucci. Cosicché anche oggi — pur essendo ridotta al minimo la schiera di coloro che sono in grado di ricollegarsi con vaghi ricordi all'epoca più feconda del pittore — può verificarsi il caso di sentir chiamare per nome e cognome i personaggi rappresentati in questo o quel quadro.
Una cosa, tuttavia, è indiscutibile: che ulteriori ritardi nel determinare la loro esatta posizione anagrafica — alla quale sono pervenuto partendo spesso da indizi così insignificanti da rendere la ricerca decisamente problematica — avrebbero impedito per sempre a «Pasqualino della Streghina», a «Peppe sciorno», a «Mecolino», di gettar via la maschera del soprannome per rivelarci finalmente la loro vera identità. Forse, portando a compimento una siffatta operazione di recupero, ho rotto senza volerlo un incantesimo che si sprigionava da certe opere pascucciane proprio per essere legate a personaggi di questo tipo, quasi circondati da un alone di leggenda. Ma ritengo che l'iniziativa sia giusta nell'opinione dei più. Non si poteva e — soprattutto — non si doveva correre il rischio di condannare ad un perpetuo anonimato chi collaborò con l'artista mancianese alla realizzazione di «tele amorose» in cui — come si legge nell'epigrafe dettata da Alfonso Giuliani in occasione del centenario della nascita di Paride Pascucci — palpita «la spoglia umanità degli umili / tenacemente curvi / su una terra sdegnosa / nella scura e dolente epopea / che schiuse al seme della vita / il seno amaro delle solitudini». L'umanità di quegli umili che — immagini speculari di una collettività reietta e disperata — si chiamavano, appunto, «Mecardino», «Il cantoniere Pinzuti», «La materassaia Nena».

[...]